La mia notte da leone (cieco e tra oscuri presagi)

La mia Notte da leoni per locali a Milano, tra O Cañito, Kenny Carpenter, emule di Belen Rodriguez, macumbe e oscuri presagi…

 

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Alan Garner in “Una notte da leoni”

 

Ho sempre guardato con un misto di inorridito distacco e pena agli addii al celibato. Stanchi riti “maschi” ormai fuori tempo massimo (che anche le donne hanno voluto emulare per la parità, dell’idiozia in questo caso); in cui il “festeggiato” è reso, la gran parte delle volte con fiera, e idiota, consapevolezza (sempre per la parità, se no con l’aria che tira – idiota – posso essere accusato di sessismo), bersaglio dei capricci e protagonista delle trovate degli altri del branco. Il copione è sempre lo stesso, cambia solo la capacità di spesa: alcool (tanto), droga (con mix che di solito all’altare stai ancora strafatto, per questo molti non riescono a leggere la formula di rito… altro che emozione… allucinazioni!), goliardate a sfondo sessuale in squallidi night club per polli sempre felici di farsi spennare o spogliarelli drizzacazzo personalizzati a 10 euro al minuto. Per i più audaci (?) – se riescono a stare ancora in piedi – c’è il puttan tour finale, dove magari ci scappa anche una sveltina a pisello barzotto o un soffocone svogliato al lattice al gusto fragola. Poi via a casa, soddisfatto di aver passato la tua ultima notte da cogl… leone.

Perciò, quando i miei amici di infanzia – quelli con cui passavo le nottate nel piazzale della Coop a fumare fino alle 2, ed eri felice perché stavi con la compa – mi hanno detto che pensavano di organizzare qualcosa per me mi si è attivato il pre-allerta. Poi ho pensato che in fondo sarebbe stato bello riunirsi tutti insieme, cosa che negli ultimi quindici anni è accaduta solo a Natale (e nemmeno con tutti presenti). Quando poi mi hanno chiesto di dare delle indicazioni sui miei gusti, così che anche loro potessero uscire dall’eterna indecisione sul “cosa fare” (che ci coglieva ogni volta si decideva di lasciare la Coop per buttarci nella mischia del weed end), ho rotto gli indugi.

Si è optato per Milano, zona Porta Ticinese–Navigli, da sempre il non plus ultra per uscire dal solito tunnel del divertimento di provincia. La serata è partita subito alla grande con un Martini Cock a “Le Trottoir à la Darsena”. Un locale dal fascino bohémien e decadente allo stesso tempo, per niente banale, che mi ha ricordato Cuba; non so se più le palme all’ingresso, gli arredi spartani o l’imponenza della struttura – su due piani – che mi ricordava gli edifici coloniali de l’Havana.

Al cesso mi ha fatto invece riflettere la differenza tra la toilette degli uomini e quella riservata alle donne… poi però mi è venuto in mente che nella gran parte dei casi le toilette per donne sono un vero cesso (no, mi autoconvinco, non è un presagio…).

 

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Il bagno degli uomini

 

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…e quello delle donne

 

Il mio viaggio a Cuba è avvenuto – anche un  po’ per caso grazie a due amici – in un periodo di grande spensieratezza; quest’aperitivo mi ha ricordato quell’atmosfera frenetica a ritmo di salsa e reggaeton, anche senza l’aria afosa de l’Havana, i sigari, il rum e, per fortuna, le cubane (troppe volte appiccicose e fastidiose come mosche). Con lo Zio Riz che, col suo caratteristico piglio paterno-pragmatico, mi ricorda invece gli obblighi coniugali…

The Doping Club”, bar del The Yard Hotel è stata la seconda fermata. Ragazzi, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo questo posto che ricorda un pezzo di America anni ’60 col suo residuo di stile british in pelle, legno e acciaio soppiantato poi dal boom della plastica. Se fossi un locale sarei il Doping Club: stiloso, vintage ma di gusto, elegante senza strafare. Cuoio, acciaio, vetro, cose vissute, calore di casa… alcolici di livello.  Tanto che quando chiedo un Martini Cock con un gin morbido al bartender, l’imperscrutabile Mr Moustage con rara seriosità professionale (forse anche troppo milanese) versa nel mixing glass un Hayman’s Old Tom. Mentre il Keyser mi mostra un’esemplificazione mimata con la sua mano del matrimonio e Melo mi scatta una foto coi suoi occhiali finti da Ragionier Filini che non potrebbe essere più premonitrice…ahimè…

 

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l mimo “rassicurante” del Keyser

 

 

E’ il mio locale. E sono felice di averlo scoperto, grazie ai miei compagni di turbe del sabato sera. Tant’è l’entusiasmo che lascio una dedica che occupa una pagina intera del libro degli ospiti.

 

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“… il ritmo del jazz, il tempo scandito dal passaggio dei suoi viaggiatori. Il moderno, l’usato, il vintage, il vecchio e l’antico si rincorrono e si intrecciano continuamente intorno al grande bancone sino agli ambienti più segreti…ma ricordate: ci sarà sempre qualcosa che non avete ancora scoperto!”, così si presenta sul sito. Il Doping Club è la vita che scorre, ora.

Uscendo, lo Zio Riz si rivolge al Lucone (un amico milanese che nel frattempo ci ha raggiunti): “dico una cosa seria, l’ultima della serata prometto…”, dice, e mi rimarca gli obblighi che derivano dall’unione matrimoniale… gli rispondo – tranchant al punto giusto, così da essere certo che sarà davvero l’ultima: “Riz se te la stai sempre a pensà nella vita non attraversi manco la strada!”.

 

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Un ambiente del The Doping Club

 

Il viaggio è proseguito con una cena di gran class a “El Porteño” –  arrivati il mio amico milanese mi ricorda che due traverse più in la c’è via Burigozzo, sede centrale del mio editore, “ah, che bello…” taglio corto ironico infilando l’ingresso; ed ecco che ti si spalanca davanti un angolo di Buenos Aires dove tutto ti fa sentire in Argentina, anche i camareros col loro accento spagnolo. C’è pure la sala privè “del Polo”! Una vera perla dove poter cenare con carni e vini di pregio, conversando senza dover urlare per il frastuono di sottofondo dei soliti posti (che mi rovina sempre la comida).

 

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La “Sala del Polo” di El Porteño

 

Purtroppo, ancora prima di poter assaggiare il sashimi di filetto di Fassone (che poi me se sciojerà ‘mbocca mejo de la mortazza di funariana memoria), il leggero fastidio che avvertivo già dalla sera precedente all’occhio destro – complici anche le luci a faretto – è esploso in una copiosa e ininterrotta lacrimazione (tipo quando sbucci la cipolla). Hai voglia a mettere collirio… un palliativo che non riusciva a darmi pace.

Scatta l’operazione farmacia. Fermiamo l’ordine e con Lucone saltiamo sul taxi chiamato speranza (nella speranza che mi salvi la serata). Ma un altro collirio decongestionante non ha l’effetto desiderato. Il Bass e Melo indicano a due tavoli dal nostro Mauro Icardi, detto O cañito (che ho scoperto essere un attaccante dell’Inter), con la compagna Wanda Nara e i tre figli di lei; non me ne sarebbe fregato un cazzo in condizioni normali figuriamoci così come stavo. E io che volevo evitare posti con calciatori e veline, ma si vede (!) che a Milano è come dire di voler evitare l’umidità… Giusto un’occhiata per vedere (!) chi sono e poi mi faccio due risate a sentire (s)parlare di lui e della bella  – nella foto che mi fanno vedere sullo smartphone, in cui è intenta a mostrare le sue doti canore – Wanda (che pare più la Osiris dal vivo, però ci vedo poco…).

 

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Wanda mostra le sue doti canore

 

La cena diventa un supplizio – tra un boccone di filetto argentino e un kleenex -, un incubo da cui vorrei risvegliarmi subito. Era diventato tale il fastidio da non riuscire a tenere aperti gli occhi. Le luci mi accecavano come i fari di un’auto. Avrei voluto avere con me gli occhiali da sole diAlan Garner. Non vedevo (!) l’ora che finissimo per uscire all’aria aperta, unico seppur minimo sollievo.

Ormai la serata era compromessa, lo sentivo, e mi saliva l’incazzatura pensando anche se quanto mi stava accadendo potesse avere un significato ed essere un altro inquietante presagio… ma poi mi ricordo che l’amore è cieco ma il matrimonio gli rende la vista! ..Giusto no? (No, qualcosa non torna)… ah ecco, sì, “il matrimonio rende felici”! Ora posso uscire dal trip e tornare in serata…  e penso anche a chi mi avesse potuto fare il malocchio (servirebbe mia nonna con una delle sue macumbe calabre, ma è troppo tardi per buttarla giù dal letto).

Per non rovinare una festa così figa, organizzata con tanta attenzione e sentita da tutti, mi faccio coraggio (il coraggio di un leone ormai cieco e sofferente) e si sale sul pullmino, direzione disco. Arriviamo al Bobino Club che sono passate le 2 e c’è ancora la fila (manco a dirlo di maschi) all’ingresso. Per fortuna noi abbiamo il tavolo, quindi, giusto il tempo di farci riconoscere e siamo dentro (ricordando senza troppa nostalgia quando a 15 anni due volte su tre ci rimbalzavano). Alla consolle c’èKenny Carpenter, Re ormai senza corona della house allo Studio 54 di New York nei mitici ’80, ora poco più che meteora per cultori dell’epoca. I piatti girano bene, il sound è di quelli giusti; si gira meno bene tra la massa di gente accalcata nella sala; è un’impresa arrivare al nostro “tavolo” incastrato tra divani e puff in un lato della sala dove, grazie al cielo, c’è la vetrata aperta sull’area fumatori esterna. Il vizio di riempire all’inverosimile i posti rendendo gli ambienti e l’atmosfera ingodibili non è solo romano allora. Della serie come rovinare un locale. E io che l’avevo proposto immaginando un club disco di livello, almeno al venerdì! Nemmeno l’Havana 7 e Coca (Cola) alleviano la mia sofferenza. Giusto il tempo di rivivere (per poco) l’atmosfera tavolo dei 18 anni (anche se la serata non decolla perché è davvero ingodibile), fare qualche foto in cui a malapena riesco a tenere gli occhi aperti – mentre vicino a noi c’è una coi jeans di Belen Rodriguez a disegnarle il culo che balla provocante, e la vedo, giuro, solo perché mi sculetta sotto il naso – e qualcuno propone di sgommare.

 

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Io sto già accodato verso l’uscita felice di lasciare la noche milanès del Bobino (del cazzo). Con una consapevolezza granitica: al netto del mio stato fisico, non mi avventurerò più in questo genere di scoperte, a meno che non siano a colpo sicuro e collaudate.

 

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E io che pensavo a un ambiente tipo “Night Cap Cafè” dei tempi d’oro, quello con Gianni Reali PR… che anche la Milano trendy dei fine ’90 invidiava a Broni!

Realizzo anche che, in fin dei conti, la movida milanese è un’invenzione. Un mito da riviste patinate. Ho visto (!) davvero ben poco movimento in una città che m’è sembrata invece un pò moscia per essere venerdì. I locali ci sono e sono belli davvero, non li trovi così altrove in Italia, ma ci devi andare al momento giusto se no sono troppo vuoti (o troppo pieni). Direte, hai scoperto l’acqua calda! Forse dopo tanti anni nella Capitale – a Roma sì che c’è la movida – ho scordato le abitudini del Nord che si lascia vivere poco per strada. Ma sono davvero lontani i tempi di “certe notti tra nebbia e locali a cui dai del tu”, quando coi bar chiusi si andava all’autogrill perché non volevi finisse alle 4 del mattino.

Mi ha detto un po’ sfiga nella mia “Notte da leoni” e non ce la faccio davvero più, devo mollare quando mi propongono altri posti da vedere (!) – la cheratite da lenti a contatto in 15 anni proprio oggi, cazzo! E mi vengono in mente le disavventure di Stu Price nella trilogia holliwoodiana (l’asportazione di un dente, il tatoo alla Tyson e l’applicazione di seni finti) e mi consolo pensando che poteva andarmi anche peggio… Ho l’amaro in bocca per averla vissuta a metà (vista anche a metà), ma penso anche che è stato un gran bel viaggio tra amici. E c’è anche la scusa buona per ripeterlo! Ma non per il mio prossimo matrimonio Zio Riz!

(To be continued…)

 

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Mai foto fu più premonitrice

 

PS mentre scrivo ho ancora la benda all’occhio, ma non ce la facevo davvero più recluso in casa da 6 giorni, avevo bisogno di sfogarmi un pò. Spero vi siate fatti due risate, almeno. Io sì e mi consolo così. Sento che l’occhio va meglio, ma seguo le indicazioni dell’oculista e la levo stasera la benda da Capitan Harlock. Domani visita di controllo e poi spero di rivedere la luce. Amen.

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