Foto di apertura di Valentina Accardo
Pitti Uomo 2016, tra PITTI’S VICTIMS e pulcini PIU. Nel flusso incessante di novità – o presunte tali – e nel tourbillon di social marketing di cui si rischia costantemente di restare vittime (nel food come nella moda e nel turismo) è bene fermarsi, ogni tanto, e provare a riflettere. Su chi siamo e su cosa ci accade attorno. Per cercare di riappropriarci del nostro gusto e del nostro stile (se mai ne abbiamo avuto uno) o per cercare di esprimerlo in modo autonomo; perchè il rischio – sempre più attuale ahinoi – è essere fruitori passivi di modelli (o format) altrui, come criceti su una ruota che annullano la propria personalità. Ho dato vita a questo sito con questa “missione” racchiusa nel primo articolo pubblicato.
Ho cercato di approfondire singoli temi in particolari momenti (il boom del food nella crisi, il vecchio e il nuovo tra botteghe artigiane e vintage, concept store e internet… i clichè nel food, nei luoghi e nel costume). Ora, per la prima volta, ho il piacere e l’onore di ospitare il punto di vista di un amico che di stile e abbigliamento (ma anche di cibo) ha grande cultura. Un vero rabdomante di primizie sui variegati mercatini vintage e non, così come sugli scaffali dei negozi più originali, virtuali e non. Io imparo sempre qualcosa da lui. Spero la lettura arricchisca e apra la mente anche a voi. Eccolo!
di SANDFINGER*
Il pulcino una volta faceva “Pio”, ora fa “PIU”. Dal 12 al 15 gennaio è andato in scena Pitti Uomo 2016. Ci capito da diversi anni, passando anche per altre fiere di settore tra Londra, Milano, Parigi e New York. Mi reputo un appassionato indipendente, non compro, non vendo, osservo.
Dopo anni, mi rendo conto come, grazie anche alla forza dei social media, il Pitti Immagine Uomo (PIU) da vetrina di stile per addetti al settore è diventato via via sempre più un ritrovo e una passerella. Vi affluiscono orde di presenzialisti di professione – vestiti come vecchi lord inglesi, operai americani anni ‘50, cacciatori di farfalle anni ‘30 -, con velleità da proto-tipi di stile, che provocano l’orgasmo 3.0 di (improbabili) fashion blogger che scattano foto alla velocità di un AK 47; tutto questo baillame sugli aspiranti Zoolander attira l’attenzione dei media tradizionali come fossero star del cinema o politici internazionali in visita nel nostro Paese.
Sempre in prima fila a sfilate ed eventi gli uni, fotografati e ipergriffati gli altri – con indosso capi molte volte donati dalle aziende – sono i nuovi strumenti di comunicazione (consapevoli e non) del fashion system. Entrambi sono influencer a comando, solo i più intelligenti a contratto. Regna l’approssimazione, spesso e volentieri con grande successo, purtroppo.
Qualcuno è in grado di capire che le vere tendenze, il vero street style, la moda, l’ispirazione, vengono dal basso? Per captarle, le tendenze, bisogna avere una naturale predisposizione. I sociologi del consumo come Francesco Morace li chiamano “antenne” perché proprio come delle antenne sono capaci di intercettare colori, tessuti, lunghezze – come quelle dei pantaloni a me tanto care -, stili. Nella mia famiglia, per esempio, portiamo i pantaloni corti da generazioni, mio nonno, mio padre, mio fratello, con la consueta presa in giro di amici e parenti (“sembri Charlot!”), mentre oggi è così “di moda”… in fondo la moda o è cultura o non è niente, una foto che non dura più nemmeno il tempo di un clic.
Attraverso Gugsto.it, che gentilmente mi ospita, vorrei lanciare un messaggio: fermiamoci, guardiamo dentro e fuori di noi, per capire quanto sia importante l’immagine ma anche lo spirito. Tra un capo costoso (che vi sta male), perche’ magari siete in sovrappeso, spendete i denari per un personal trainer e un nutrizionista; tra un viaggio ai tropici, a rate, sotto le feste, e una bella spesa da “non bado a spese” per cibo di qualità, biologico, vero, meglio la seconda. Magari, per una volta, riuscirete davvero a immedesimarvi nelle star di Hollywood – tra le più fissate per il cibo sano, vero, integrale magari, ma senza integralismi. Morire mangiando semini… anche no!
Ovviamente le eccezioni ci sono sempre. Scott Schuman, padre del sito sartorialist.com, è un numero 1 in fatto di trend setting. Aprì il suo blog anni fa, dopo una carriera nel mondo della moda, forse stufo di non trovare più cose nuove o per la voglia di uscire dal vortice autoreferenziale del fashion system; iniziò a fotografare la gente per le strade di New York, seguendo il suo gusto e il suo piacere. Persone come lui sanno vedere eleganza, stile, proporzione, anche in un senza tetto vestito di cenci. Catturano in un’immagine una sorta di visione, come accade per un artista durante la creazione di un’opera. Non come le scimmie ammaestrate che fotografano, postano, twittano, taggano, #ashtaggano sperando nella nocciolina-premio (l’invito all’evento o alla sfilata con gadget griffato); o i Poser-pappagallo a contratto (o in cerca di). Gli altri, gli spettatori-consumatori? Rischiano di essere dei “pulcino PIU”, pronti a far proprio il tormentone della prossima stagione e a schiacciare, appiattire (e conformare) su questi modelli creati negli uffici marketing più che in sartoria il proprio stile.
Spesso è meglio avere un cattivo gusto che avere un non gusto. Gugsto!
*Pseudonimo dell’autore